La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell'ambito dell'art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile.

In presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato. Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 29-01-2019) 22-03-2019, n. 8230

***

Il contrasto giurisprudenziale che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a dirimere, riguarda l'interpretazione della sanzione di nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, e art. 46 del TU n. 380 del 2001 entrato in vigore il 30.6.2003.

Muovendo dal dato normativo gli Ermellini hanno anzitutto affermato che si è in presenza di una nullità che va ricondotta nell'ambito dell'art. 1418 c.c., comma 3, secondo quanto ritenuto dalla teoria c.d. formale, con la precisazione essa ne costituisce una specifica declinazione, e va definita "testuale" (secondo una qualificazione pure datane in qualche decisione), essendo volta a colpire gli atti in essa menzionati.

La medesima giurisprudenza ha poi chiarito che dall'analisi congiunta del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, commi 1 e 4, (ma il discorso vale in riferimento alle analoghe disposizioni della L. n. 47 del 1985, art. 17, commi 1 e 4, nonchè mutatis mutandis della medesima L. n. 47 del 1985, art. 40, commi 2, e 3), emerge che, a fronte del comma 1, che sanziona con la nullità specifici atti carenti della dovuta dichiarazione, il comma 4, ne prevede, la possibilità di "conferma", id est di convalida, nella sola ipotesi in cui la mancata indicazione dei prescritti elementi non sia dipesa dalla insussistenza del titolo abilitativo.

Il dettato normativo indica, quindi, che il titolo deve realmente esistere e, quale corollario a valle, che l'informazione che lo riguarda, oggetto della dichiarazione, deve esser veritiera.

Se ciò è vero, ne consegue che la dichiarazione mendace va assimilata alla mancanza di dichiarazione, e che l'indicazione degli estremi dei titoli abilitativi in seno agli atti dispositivi previsti dalla norma non ne costituisce un requisito meramente formale, essa rileva piuttosto, come pure affermato in altre decisioni adesive alla teoria formale e sottolineato da un'accorta dottrina, quale veicolo per la comunicazione di notizie e per la conoscenza di documenti, o in altri termini, essa ha valenza essenzialmente informativa nei confronti della parte acquirente, e, poichè la presenza o la mancanza del titolo abilitativo non possono essere affermate in astratto, ma devono esserlo in relazione al bene che costituisce l'immobile contemplato nell'atto (cfr. Cass. 20258 del 2009 cit.), la dichiarazione oltre che vera, deve esser riferibile, proprio, a detto immobile.

In costanza di una dichiarazione reale e riferibile all'immobile, il contratto sarà in conclusione valido, e tanto a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, e ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità, in quanto, non è previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del condivisibile principio generale, affermato nei richiamati, precedenti, arresti della Corte, secondo cui le norme che, ponendo limiti all'autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicchè esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste.

La tesi qui adottata non è, peraltro, dissonante rispetto alla finalità di contrasto al fenomeno dell'abusivismo edilizio, cui pure tende la disposizione in esame, e che è meritevole di massima considerazione.

Pare infatti che la ricostruzione nei termini di cui si è detto della nullità concorra a perseguirlo, costituendo uno dei mezzi predisposti dal legislatore per osteggiare il traffico degli immobili abusivi: per effetto della prescritta informazione, l'acquirente, utilizzando la diligenza dovuta in rebus suis, è, infatti, posto in grado di svolgere le indagini ritenute più opportune per appurare la regolarità urbanistica del bene, e così valutare la convenienza dell'affare, anche, in riferimento ad eventuale mancata rispondenza della costruzione al titolo dichiarato.

In tale valutazione, potrà, ben a ragione, incidere la sanzione della demolizione che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, commi 2 e 3, prevede nei confronti sia del costruttore che del proprietario in caso d'interventi edilizi eseguiti non solo in assenza di permesso, ma anche in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell'art. 32. Tale sanzione, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (Ad Plenaria Cons. Stato n. 9 del 2017), ha, infatti, carattere reale e non incontra limiti per il decorso del tempo e ciò in quanto l'abuso costituisce un illecito permanente, e l'eventuale inerzia dell'Amministrazione non è idonea nè a sanarlo o ad ingenerare aspettative giuridicamente qualificate, nè a privarla del potere di adottare l'ordine di demolizione, configurandosi, anzi, la responsabilità (art. 31 cit., comma 4 bis) in capo al dirigente o al funzionario responsabili dell'omissione o del ritardo nell'adozione di siffatto atto, che resta, appunto, doveroso, nonostante il decorso del tempo. Leggi sentenza