Il danno all’immagine sfugge ad una precisa determinazione, di qui la giuridica necessità di determinare l’entità del risarcimento con esclusivo riferimento alla dimensione della perdita dell’immagine, quale individuabile in base ai criteri “oggettivi, soggettivi e sociali”, da tempo elaborati dalla giurisprudenza della Corte dei conti, piuttosto che con riferimento alle somme spese per tale ripristino, ovvero in base al solo “valore patrimoniale (della) utilità illecitamente percepita”, ex art. 1, comma 62, della l. n°190/2012, al quale ultimo può attribuirsi valore puramente orientativo, soprattutto quando il convenuto non ha percepito per sé – come nel caso – alcuna “utilità”, essendosi adoperato per favorire altri, mediante la sua condotta concussiva. Ciò premesso, quanto alla mancanza di diffusione giornalistica della vicenda e quindi di clamor, invece, deve dirsi che il clamor stesso dipende dalla intrinseca gravità ed offensività della condotta tenuta dal convenuto, piuttosto che dalla diffusione che della condotta medesima ne dà la stampa, la quale esprime semmai solo il grado di interesse e di controllo democratico da parte dell’opinione pubblica sulla vicenda. Da questo punto di vista, non è possibile escludere il clamor sia nella sua dimensione “interna”, propria all’ambiente dell’Amministrazione di appartenenza del convenuto, che nella sua dimensione “esterna”, tra i consociati, e segnatamente tra gli operatori di settore, interessati alle ispezioni del convenuto, oltre che negli ambienti giudiziari, dove è stato celebrato il processo penale. Del resto, il clamor non può dirsi neanche ancora del tutto esaurito, stante la “coda” processuale che la vicenda ha avuto innanzi a questa Corte (cfr., in termini, Sez. III^ Centr. App. n° 305/2010).

Fonte:www.respamm.it

Allegato