NOTA: Il Collegio si intrattiene nel fornire dettagliati chiarimenti in ordine alle modalità di deposito degli atti nella vigenza del nuovo Processo Amministrativo Telematico in un caso ove, parte resistente, si era costituita a mezzo di : a) scansione per immagini non asseverata di una memoria difensiva analogica priva di sottoscrizione autografa; b) copia digitale per immagini della procura alle liti in formato analogico a firma autografa del legale rappresentante (dell’A.S.L. resistente); c) documento informatico pdf, privo di firma digitale, recante attestazione di conformità della copia informatica della procura di cui alla lett. b) all’originale analogico dal quale era stata estratta.

Il Tribunale rileva la nullità della memoria dei costituzione e della procura ad litem in ragione di un duplice profilo: l’avvenuto deposito degli atti in formato diverso da quello consentito dal P.A.T. e la mancanza della firma digitale.

“Salvo diversa espressa previsione, gli atti processuali delle parti, ivi inclusi il ricorso introduttivo, le memorie, il ricorso incidentale, i motivi aggiunti, vanno redatti in formato di documento informatico e devono essere sottoscritti con firma digitale conforme ai requisiti di cui all'articolo 24 del D.Lgs. n. 82/2005 (cfr. art. 136, comma 2-bis del c.p.a.; art. 13, comma 1 ter, delle norme di attuazione al c.p.a.; art. 9, comma 1 del D.P.C.M. n. 40/2016).

Nel nuovo regime, gli atti processuali di parte in formato elettronico possono essere depositati esclusivamente nei formati previsti dall’art. 12 delle specifiche tecniche, Allegato A del D.P.C.M. n. 40/2016, tra cui quello in pdf c.d. “nativo digitale” ottenuto dalla trasformazione di un documento testuale. […] Peraltro tale conclusione non è contraddetta dall’art. 136, comma 2 ter, del c.p.a. che ammette la possibilità di depositare con modalità telematiche - previa asseverazione ex art. 22, comma 2, del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale, C.A.D.) - la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme. Invero, per evitare di incorrere in una interpretazione abrogante o manipolatrice dell’art. 136 comma 2 bis e dell’art. 9, comma 1 del D.P.C.M. n. 40/2016, deve ritenersi che il comma 2 ter si applichi soltanto al deposito di atti precedenti alla piena operatività del p.a.t. legittimamente formati in analogico (T.A.R. Napoli, Sez. II, n. 1503/2017) ovvero qualora si intenda produrre un atto riferibile a distinti giudizi o copia di provvedimenti giurisdizionali ovvero, ancora, quando l’utilizzo della forma “analogica/cartacea” sia imposta o aliunde consentita”.

La pronuncia, oltre che per i profili “operativi” su esposti, risulta interessante poiché – come accennato -, chiarisce il ruolo della firma digitale nella formazione dell’atto processuale riconnettendo, alla mancanza di essa, la grave sanzione della nullità ex art. 44 lett. a) c.p.a.: “Trattandosi di profilo indispensabile per la formazione dell’atto e per la imputazione dei relativi effetti alla parte processuale, la mancata apposizione della firma digitale - quale unica modalità di sottoscrizione del documento secondo le disposizioni sul p.a.t. - è causa di nullità dell’atto.”

Il Collegio, invero, perviene a tale conclusione nonostante l’esistenza – circostanza peraltro richiamata in sentenza -, di un orientamento meno rigoroso che permette di far salvo l’atto sprovvisto di firma digitale in caso di sottoscrizione del c.d. Modulo di deposito del ricorso (T.A.R. Reggio Calabria, sent. n. 209/2017; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III bis, ordinanza n. 3231/2017).

Il Tribunale campano interpreta letteralmente il contesto normativo vigente (articolato sul duplice piano legislativo e regolamentare), nonché opera alcune considerazioni che paiono, in effetti, astrattamente condivisibili poiché di stretto diritto.

A seguire, gli stralci più significativi della pronuncia.

“Lo scopo dell’atto processuale non è soltanto quello di veicolare al giudice e alle altri parti le domande di giustizia ma è anche quello di inserirsi efficacemente in una sequenza intrinsecamente assoggettata alle regole tecniche che impongono l’adozione di particolari formati in luogo di altri, così da perseguire l’obiettivo della ragionevole durata del processo, oltre a quello di un più tempestivo ed efficiente esercizio della giurisdizione amministrativa (cfr. Relazione finale al cod. proc. amm.), contribuendo altresì ad assicurare la snellezza e la standardizzazione delle procedure, con conseguente incremento della trasparenza e riduzione dei costi delle medesime (Consiglio di Stato, Sezione Consultiva, parere n. 66/2016 sullo schema di regolamento relativo alle regole tecnico – operative del p.a.t). […]Non è quindi sostenibile una interpretazione del citato art. 6 comma 5 che consenta di prescindere dalla sottoscrizione con firma digitale di ogni singolo atto processuale di parte.

L’adesione alla diversa ermeneutica avrebbe, come non condivisibili corollari, quelli di ritenere sufficiente la firma del Modulo di Deposito e, di contro, dispensare le parti processuali dall’osservanza di una essenziale prescrizione formale – la sottoscrizione dell’atto processuale (ora da effettuare mediante apposizione della firma digitale) – alla cui omissione il codice di rito riconnette la conseguenza esiziale della nullità (cfr. art. 44 c.p.a.) o, nella giurisprudenza processualcivilistica, della inesistenza giuridica dell’atto (cfr. art. 125 c.p.c.; Cass. Civ., Sez. VI, n. 1275/2011). Ancora una volta, pertanto, si consentirebbe alle specifiche tecniche di introdurre una disciplina derogatoria ed innovativa di fonti normative processuali sovraordinate, il che non è giuridicamente consentito.

Ammettere un atto processuale privo di sottoscrizione digitale per il solo fatto che sia stato firmato il Modulo di deposito si tradurrebbe quindi in una fictio iuris per il cui tramite si considererebbe come valido ed efficace un atto che, in realtà, è privo di un requisito essenziale.

[…]

Alla stregua dell’interpretazione letterale, va poi evidenziato che l’art. 6 comma 5 delle specifiche tecniche si riferisce espressamente ai “documenti” e non agli atti processuali di parte; quindi solo con riferimento ai primi appare sostenibile l’estensione della firma digitale apposta sul “ModuloDepositoRicorso” o sul “ModuloDepositoAtto” ciò che, in ogni caso, postula che tale sottoscrizione elettronica – sebbene estesa – venga poi effettivamente impressa ai singoli allegati.

In proposito, la distinzione tra atti e documenti nel processo amministrativo è chiaramente delineata dall’art. 5 delle norme di attuazione al cod. proc. amm., secondo cui “Ciascuna parte, all’atto della propria costituzione in giudizio, consegna il proprio fascicolo, contenente gli originali degli atti ed i documenti di cui intende avvalersi nonché il relativo indice”.

[…]

“Il Collegio rileva, infine, che la questione relativa all’efficacia “sanante” della sottoscrizione del “ModuloDepositoAtto” in presenza di atti processuali privi di firma digitale - pur avendo ricevuto soluzione contraria in alcune pronunce di primo grado (T.A.R. Reggio Calabria, sent. n. 209/2017; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III bis, ordinanza n. 3231/2017) - non ha dato luogo, allo stato, a significativi contrasti giurisprudenziali e, per tale motivo, non si ravvisano ragioni per disporre la rimessione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 13 bis delle norme di attuazione al c.p.a.. Peraltro, vi è anche da rilevare, a sostegno di tale scelta, che il profilo di nullità esaminato non riguarda il ricorso giurisdizionale e, pertanto, non appare dirimente ai fini della decisione sulla impugnazione oggetto di giudizio.”

L’ultima considerazione svolta dal T.A.R. Campania, invero, palesa al lettore la futuribile concretizzazione di uno scenario in cui, nel determinarsi – a mente dell’art. 13 bis delle norme di attuazione al c.p.a. - di “significativi contrasti giurisprudenziali rispetto a decisioni di altri tribunali amministrativi regionali o del Consiglio di Stato, tali da incidere in modo rilevante sul diritto di difesa di una parte”, l’Adunanza Plenaria si possa occupare delle criticità del P.A.T. che appare, come tutte le innovazioni, difficile da metabolizzare – per lo meno nell’immediatezza della sua introduzione – e, paradossalmente, implicante un aggravio per i professionisti anziché uno strumento di semplificazione e di più facile accesso alla Giustizia. Leggi sentenza

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