di Francesco Verbaro, consigliere della presidenza del Consiglio dei ministri, docente stabile della Sspa

Le PA e i fondi comunitari                                                                       

Da anni ormai si denuncia la scarsa capacità delle pubbliche amministrazioni di spendere in maniera efficiente ed efficace le risorse dei fondi comunitari, nonché il grave danno che questa incapacità produce sull’economia italiana, in particolaL’esperienza italiana nelle precedenti programmazioni comunitarie (1994-1999 e 2000-2006) ha messo in evidenza non solo la scarsa capacità nel programmare le risorse, ma anche l’approccio patologico con il quale molte amministrazioni si rapportano alle risorse pubbliche in termini di spesa. In generale, proprio le amministrazioni pubbliche destinatarie di maggiori risorse finanziarie per la promozione e lo sviluppo economico e sociale dei rispettivi territori hanno rivelato le maggiori criticità nella capacità di programmare, impegnare e spendere le risorse finanziarie assegnate, pur essendo questa una delle priorità delle azioni contenute nel Quadro strategico nazionale.

In maniera evidente ciò è accaduto con particolare riferimento ai fondi comunitari e nelle regioni ex Obiettivo 1, oggi Convergenza, nelle quali le risorse comunitarie sono state considerate e gestite irresponsabilmente come estranee, ulteriori (forse anche eccessive per lo sforzo amministrativo che richiedevano) e quindi da non utilizzare al meglio. Il problema sembra riproporsi oggi anche con riferimento alla programmazione comunitaria 2007-2013 e forse in maniera più grave in base ai dati sul monitoraggio in corso, mettendo in discussione quindi l’efficacia di tutte quelle azioni di sistema e di capacity building, poste in essere negli ultimi anni a sostegno del rafforzamento (empowerment) delle amministrazioni pubbliche meridionali.

 

 

 

Policy comunitarie e divario tra nord e sud

La finalità con cui sono nati i fondi comunitari ci porta a fare un’analisi sul raggiungimento degli obiettivi delle policy comunitarie con particolare riferimento ad alcuni Assi e priorità.

In particolare la programmazione 2007-2013 prevede azioni di intervento, sia a valere sul Fesr, che ha come obiettivo primario il miglioramento dell’attuazione delle politiche di sviluppo con interventi di tipo specialistico, sul potenziamento e la diversificazione delle strutture economiche nonché sulla tutela o la creazione di posti di lavoro sostenibili finanziando azioni di ricerca e sviluppo tecnologico, che a valere sul Fse che mira ad espandere e migliorare gli investimenti nel capitale umano e ad un miglioramento strutturale delle capacità amministrative e gestionali. Proprio le regioni ex Obiettivo 1, oggi Obiettivo convergenza, registrano una forte debolezza in competenze tecniche specialistiche sia settoriali sia di fondo dal punto di vista della capacità strutturale di programmare e gestire le diverse politiche di settore.

I pochi indicatori presenti nel settore pubblico in termini di bilancio (autonomia finanziaria, costi di funzionamento, patto di stabilità) e in termini di servizi (tempi di attesa, qualità dei trasporti, servizi sociali, servizi per l’impiego e qualità della vita in generale) mostrano un forte divario tra nord e sud del Paese che si allarga e si aggrava anno dopo anno pur in presenza di ingenti risorse comunitarie.

Il Rapporto Svimez 2010 ha messo in luce come il processo di convergenza delle regioni in ritardo di sviluppo verso quelle più ricche, sostenuto proprio con le risorse dei fondi strutturali, in Italia si presenti in controtendenza rispetto al resto d’Europa. Infatti, mentre a livello comunitario nello scorso decennio le aree Obiettivo 1 si sono sviluppate in misura maggiore rispetto alla media dell’Unione europea, mostrando un tasso di crescita medio annuo del Pil pari al 3,3% contro quello medio dell’Unione del 2,6% (Italia esclusa); nel nostro Paese le regioni del Mezzogiorno sono cresciute in media dell’1,1% a fronte dell’1,4% delle regioni del Centro-nord e hanno visto aumentare, piuttosto che diminuire, il divario tra le due aree del paese, registrando le prime un divario del 2,2% in confronto alle altre regioni europee in ritardo di sviluppo e le altre una crescita del Pil inferiore di 1 punto e mezzo rispetto alle altre aree ricche dell’Unione. Tutto questo è accaduto anche con riferimento a quelle misure volte a potenziare le amministrazioni nella capacità di gestione delle risorse e delle politiche.

 

Obiettivo Convergenza

Il concetto di Obiettivo Convergenza, come noto, nasce dall’osservazione statistiche delle differenze strutturali ed economiche esistenti nell’Unione e si concretizza in una serie di interventi specifici miranti a far convergere le regioni che presentano tali condizioni di svantaggio (tra cui un Pil inferiore al 75% della media dell’Ue) verso livelli di sviluppo più elevati atti a favorire la crescita e l’occupazione. Tale obiettivo costituisce la priorità dei Fondi strutturali e per questa ragione gode di maggiori risorse economiche e di una più vasta gamma di interventi realizzabili al fine di ottenere un miglioramento complessivo della qualità degli investimenti, ivi compreso il settore dell’efficienza amministrativa.

Il ritardo del Mezzogiorno, però, come è noto, si è esteso dall’ambito economico agli altri settori della società e quindi a tutti i servizi pubblici essenziali e quindi alla capacità di valorizzare le risorse e di beneficiare delle politiche di coesione dell’Ue.

In un contesto in cui i Paesi europei devono porre in essere misure di contenimento della spesa pubblica e si trovano a dover ridisegnare la spesa pubblica e il ruolo del settore pubblico rispetto all’economia e alle domande di servizi della società, il mancato utilizzo e lo spreco delle risorse comunitarie appare come un atto di suicidio istituzionale, nonché di grave inconsapevolezza dello scenario economico e sociale che attende le amministrazioni italiane. Le analisi sulla qualità dei servizi dei diversi settori mostrano i continui ritardi e deficit che caratterizzano le amministrazioni italiane. Dai servizi per l’impiego, ai servizi sociali, dai parametri di virtuosità dei bilanci agli indicatori sulla qualità della vita emerge come le amministrazioni regionali e locali del Mezzogiorno registrino sempre maggiori ritardi e come l’auspicato processo di responsabilizzazione, che dovrebbe decollare definitivamente con il federalismo fiscale, sia ancora lontano.

 

 

 

 

Il ruolo delle amministrazioni centrali

Qui emerge anche un nuovo ruolo per le amministrazioni centrali, le quali non possono considerare il silenzio come una forma di leale collaborazione o di rispetto dell’autonomia regionale. In questo ambito, come in altri riguardanti la qualità dei servizi o il rispetto di principi e obblighi di legge, dovrebbe essere più forte il ruolo di messa in mora e di guida delle amministrazioni centrali. Un buon esempio di coordinamento è costituito dall’approccio seguito per le politiche per il lavoro con l’Accordo Stato-Regioni sugli ammortizzatori in deroga e la formazione professionale, che ha consentito di orientare in maniera responsabile le diverse risorse disponibili in tali ambiti.

Dovrebbe essere chiaro inoltre che per potenziare le PA, soprattutto dopo l’entrata in vigore delle misure contenute agli artt. 6  e 9 del decreto legge n. 78/2010, che limitano ad esempio le risorse per la formazione e quelle destinate all’accessorio, le amministrazioni pubbliche e in particolare quelle del Mezzogiorno hanno a loro disposizione solo le risorse comunitarie o quelle ricavabili da profondi processi di razionalizzazione.       

Ma, pur in un contesto di particolare rigore nella spesa e di crisi della finanza pubblica, le amministrazioni, come mostrano i dati riportati in tabella relativi alle risorse del Fse per le azioni sulla capacità istituzionale, non riescono a programmare e ad impegnare le risorse disponibili. A due anni dalla fine della programmazione comunitaria 2007-2013 la spesa impegnata è veramente irrisoria. Dopo due programmazioni comunitarie che comunque hanno previsto azioni di supporto e rafforzamento per le amministrazioni rientranti tra gli obiettivi dell’Ue, registriamo ritardi e inefficienze maggiori.

Per anni si è operato per rafforzare la capacità delle amministrazioni di programmare, attuare e monitorare le politiche, nonché di produrre beni relazionali (quali legalità, sicurezza, imparzialità, trasparenza, certezza e prevedibilità dell’agire amministrativo), ma con scarsi risultati sia rispetto alle risorse ordinarie sia rispetto a quelle comunitarie. A questa azione di sistema che si è protratta per anni in maniera poco efficace si aggiunge oggi una normativa, come quella contenuta nel Titolo II del Dlgs n. 150/2009, che obbliga le amministrazioni a saper programmare secondo obiettivi “rilevanti e pertinenti”, “specifici e misurabili”, “tali da determinare un significativo miglioramento della qualità dei servizi erogati”.

 

Conclusioni

Ma nonostante le risorse a sostegno della capacità istituzionale e gli obblighi di legge i ritardi sono particolarmente gravi e ancor più grave il silenzio attorno. Una nuova classe dirigente amministrativa, regole di trasparenza e di semplificazione, chiarezza e coerenza di programmi e obiettivi dovrebbero caratterizzare una moderna amministrazione, specie in un assetto federale.

Il miglior utilizzo delle risorse comunitarie, oltre ad essere una priorità politica nazionale, dovrebbe vedere in prima fila proprio le organizzazioni sindacali (a partire da quelle del pubblico impiego), specialmente per l’attenzione che dovrebbe essere riservata alle regioni del sud, oggi Obiettivo convergenza. In questa come in altre battaglie non sono in gioco il numero degli iscritti, ma il futuro di importanti aree del Paese. Se non si riesce a responsabilizzare la classe dirigente del Mezzogiorno adesso e su questi temi, quando potrebbe accadere?

 

Fonte: Ministero dell’Economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato

 

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